Un intero capitolo per la vostra lettura....
CAPITOLO 2
ALBA ROSA SU CAMPO ARANCIO
I
Lei sei del mattino, lunedì. L’alba è rosa sulla nuova settimana che sta per iniziare. Il bar del centro sta aprendo. I giornali sono in pila fuori dall’edicola. Un gatto attraversa la strada. Rondini stridule tagliano il cielo.
Il campetto, deserto e vuoto - con il sole nascente ad illuminarlo - sembra surreale. Anche se il parco è chiuso c’è un accesso segreto, una breccia nella rete dietro un palo della luce.
Giovanni è solo. Indossa una felpa blu scuro con il cappuccio tirato sulla testa e si sente come un ladro o un fuggitivo. L’erba del prato è umida e fresca. Il cancelletto del campo da basket cigola rumorosamente. Quando entra, mettendo piede sulla terra rossa, gli sembra di varcare uno spazio sacro. Ai margini ci sono bottiglie di plastica vuote e qualche foglia. Tutto è troppo silenzioso. Gio vorrebbe tornare indietro, ma non può, sente che questa cosa deve farla da solo: deve scoprire la verità, deve contare i canestri. Deve capire.
Dallo zaino estrae il pallone. Alza le maniche della felpa. Cammina, palleggia tre volte verso il canestro di nord. Si ferma al limite dell’area, inspira, carica sulle gambe, salta, rilascia. Traiettoria perfetta, attimo infinito. La palla sbatte sul secondo ferro ed entra nella retina. Sdleng! Il rumore di metallo risuona in tutto il parco. Sembra l’incasso di una slot machine. Gli uccellini volano via dai tigli circostanti.
Gio tira ancora. È vicino all’area pitturata. Tabella e canestro.
Palleggia più in là. Si gira, salta su una gamba sola cadendo indietro, tira male, fa canestro.
Va alla linea dei liberi. Respira, tira, canestro.
Tira di nuovo, canestro, sola rete.
Tira ancora. Canestro.
Corre, va al margine destro dell’area, si ferma, tira. Fa canestro.
Recupera il pallone, va all’estremità sinistra del campo. Salta, tira, fa ancora canestro.
Si mette in posizione centrale dietro la linea dei tre punti. Tiro, buona parabola, canestro.
L’intera struttura del tabellone è come uno strumento a percussione che risuona violento ad ogni colpo del pallone e riempie col suo rumore metallico tutto il verde silenzioso del parco. Il cuore di Giovanni è un tamburo che batte all’impazzata. Lui corre dietro alla palla e sente caldo. Inizia a sudare. Sta assistendo ad un miracolo e non c’è nessun testimone. Non c’è nessuna ragione.
Adesso non mi fermo finché non ne sbaglio uno. II
Indietreggia e si posiziona ad un metro dalla linea dei tre punti. Mette tutta la forza nelle braccia, salta, tira e fa canestro.
Recupera la palla, ci riprova, segna ancora.
È quasi a metà campo. Prende un po’ di rincorsa. Lancia con entrambe le mani. Tabella, ferro, canestro.
La recupera. Ci prova dal cerchio della metà campo. Mentre sta lanciando sente una fitta al braccio destro, un crampo dovuto all’eccessivo sforzo a muscoli freddi.
La palla prende il ferro e schizza via, rimbalza, rotola lontano, si ferma contro la rete. Stavolta ha sbagliato solo a causa del crampo.
Giovanni è piegato sulle ginocchia, tutto sudato. Respira affannosamente. Non sa se urlare o piangere. Non sa se ridere o spaventarsi.
A questo punto, credo che se avessi la potenza per tirare da cento metri, potrei segnare anche da lì.Sente che una forza invisibile lo guida nei tiri. È come se dentro sé avesse un pilota automatico che guida i suoi movimenti al momento del tiro e genera lanci perfetti. Per quanto i suoi fondamentali del basket siano primitivi, per nulla fluidi o studiati, la palla riceve sempre il giusto impulso per entrare in rete. Si sente come posseduto da un demone.
Il cuore batte irregolare, non solo a causa dello sforzo fisico. Il sudore sulla sua fronte è un freddo distillato di panico. Gio ora intuisce cosa si prova ad essere un dio. Si sente come un supereroe dopo la manifestazione del suo superpotere. Tutto è chiaro: ha un dono speciale. Le gambe gli tremano ed un urlo fortissimo gli resta imprigionato nella gola, come se avesse scoperto di aver vinto alla lotteria milionaria, senza aver ancora realizzato come e quanto la sua vita cambierà per questo.
Recupera il pallone e riprende a palleggiare. Il dolore al braccio sta diminuendo.
III
«Ma voi ragazzacci della minchia dovete venire qui anche alla mattina? Chi ti ha aperto?» sbraita Alfredo, il custode che gestisce anche il baretto all’interno del parco.
«Che cazzo di esigenza vi prende di venire a giocare a quest’ora?» continua il sorvegliante sciancato, che zoppica verso il campetto con fare minaccioso.
«Scusa Alfredo, ci sono solo io, stamattina non riuscivo a dormire», risponde Gio.
«E fatti una sega se non riesci a dormire! Non puoi entrare qui come cazzo vuoi, lo capisci ragazzo?»
«Adesso me ne vado. Anzi…stai aprendo il bar?» L’intuizione di Giovanni è fulminea.
«Si, adesso apro, perché?»
«Senti, la vuoi fare una scommessa?»
«Io? E su cosa diavolo dovrei scommettere?» Alfredo ha già drizzato le orecchie. Alla parola “scommessa” un riflesso condizionato gli porta la bava alla bocca. Lui ci spende mezzo del suo stipendio nelle scommesse sportive e passa tutto il giorno a controllare i risultati dei campionati di calcio sudamericani, australiani e di chissà quale improbabile gara sportiva mondiale. Il suo sogno è quello di aprire un nuovo bar che sia anche centro di scommesse sportive. In attesa della sua vincita milionaria.
«È molto semplice. Se faccio canestro da qui mi offri cappuccio, brioche e succo d’arancia.» Gio è fermo a metà campo.
Alfredo aggrotta le ciglia e tira su col naso. «E se sbagli, ragazzino, com’è facile che sia?»
«In tal caso mi sbatti fuori e ti do queste venti euro». Gio estrae dalla tasca dei pantaloni l’azzurrognola banconota.
Alfredo pensa già a come scommettere quei venti euro sull’estrazione delle squadre di Coppa Italia. «Va bene. Siamo d’accordo, pazzoide! Tira e levati dai coglioni.»
Stai a vedere sciancato, e scalda la macchina del caffè! - pensa Gio.
Respira a fondo. Si stiracchia, allarga le braccia e le alza sopra la testa per due volte, sente il braccio destro ancora indolenzito. Prende la rincorsa dall’area del canestro di sud e, non appena entra nel cerchio di metà campo, fa un salto e lancia la sfera a spicchi, che vola alta nel cielo rosa ormai azzurro, ricade, sbatte contro i due ferri e s’infila disciplinata a canestro. Alfredo resta a bocca aperta circa tre secondi.
«Oggi è il tuo giorno fortunato, brutto figlio di puttana!»
«A proposito. La brioche la voglio vuota e sul cappuccio mi spolveri un po’ di cacao, ok?»
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