venerdì 4 dicembre 2015


Capodanno a Miami Beach



DAL CAPITOLO 11 "TRASFERTA A EST" 

Miami, Florida, mercoledì 31 dicembre
 
«Tachipirina, please.»
«Tachi…whaaat?»
Sono partiti che a Boston c’era una bufera di neve, con cappelli di lana, sciarpe e giacconi pesanti. Atterrati ad Orlando, in Florida, dopo tre ore di volo, hanno trovato un clima quasi estivo con temperatura sopra i venti gradi. A Miami fa ancora più caldo.
Giovanni sta malissimo, lo sbalzo termico l’ha ucciso. Sente brividi in tutto il corpo ed ha trentotto di febbre. Vuole giocare a tutti i costi. Rinunciare a scendere in campo, ora, potrebbe farlo uscire dalle rotazioni del coach. Non può stare in panchina proprio ora che le sue prestazioni stanno lasciando tutti a bocca aperta. La sfida contro Miami è cruciale.
Sono già all’American Airlines Arena per il riscaldamento pre-partita. Gio chiede di poter vedere il medico. In nessun caso rinuncerà a scendere in campo. Gli chiede una tachipirina.
«Tachi…whaaat?»
«Una tachipirina. Non ce l’avete qui in America?»
«Tu dimmi che problema hai. Alle medicine ci penso io», dice il medico.
«Ho febbre a 38 e male alle ossa. Dev’essere stato lo sbalzo di temperatura. Ma stasera devo giocare.»
«Non preoccuparti, adesso ti faccio un’iniezione e tra mezz’ora ti sentirai meglio.»
Un’ora dopo Giovanni è pronto a scendere in campo con il quintetto base. Non sa cosa gli abbiano sparato nelle vene, ma sente energia e adrenalina pompare dal cuore. Deve farla pagare ai Miami Heat, che l’hanno illuso e poi snobbato ai Draft. Vuole dimostrare cosa si sono persi.
Schierato in campo, vede il centro Raul Rodriguez, il gorillone che aveva fatto il provino con lui ed era stato scelto al primo turno. Si rivolge a Mike: «Lo vedi quel bestione? Se ti riesce dagli un bella gomitata in faccia.»
«Spiacente John», risponde l’amico. «Ho già avuto fortuna ad avere una sola giornata di squalifica e cinquantamila dollari di multa. Mi conviene stare buono per un po’.»
In campo Giovanni è scattante e lucido. Ha finalmente trovato la sua dimensione negli schemi d’attacco. Quando Madison Stanley è raddoppiato in difesa e non ha alternative, il cecchino italiano è l’ottima soluzione per un ribaltamento di campo. Non deve far altro che smarcarsi con uno scatto ed aspettare dietro la linea dei tre punti. Ha un rilascio ed un tiro incredibili: non appena riceve palla è subito in salto per tirare. La tripla è garantita. Mike Smithson è la sua guardia del corpo dentro e fuori dal campo. Giocano in perfetta simbiosi: i suoi blocchi gli permettono di smarcarsi dai difensori più fastidiosi, raggiungere la posizione ottimale e tirare in tranquillità. Ecco perché, grazie alle spettacolari giocate di Stanley, la precisione di Giovanni, la forte presenza sotto canestro di Walk e il gioco duro di Smithson, l’attacco di Memphis è diventato una macchina macina-punti.
La partita arriva all’ultimo quarto in sostanziale equilibrio. L’ultimo possesso è determinante per i Grizzlies, che sono sotto di 2 lunghezze. Mancano 10 secondi. Vince passa a Stanley. Blocco di Walk per lui. Madison cerca di penetrare a canestro ma ha due difensori in avvicinamento. Meno 5 secondi. La palla torna a Jerry, poi di nuovo a Madison, che non ha spiragli. Meno 3 secondi. Palleggia. C’è una sola via d’uscita. Ribalta a tutto campo verso Gio, che riceve a sinistra. Può tentare la tripla. Il difensore corre disperatamente verso di lui. Meno 1 secondo. Quando la palla è già lontana dalle sue mani, al punto più alto della sua parabola, il cronometro si azzera e la luce del tabellone si accende di rosso. La sirena suona il giudizio finale. È un buzzer beater, un canestro decisivo allo scadere del tempo, l’occasione più eccitante per un giocatore di basket e per i suoi tifosi. Giovanni si ritrova tutti i compagni addosso. Il suo successo è consacrato. Il loro rispetto è conquistato.
Più tardi, in conferenza stampa, Jerry Marianucci, presidente dei Miami Heat, dichiara con risentita sincerità: «Non c’è stato nessun errore tattico da parte della squadra. Il nostro unico grande errore è stato quello di non scegliere John Tyron allo scorso Draft, quando ne abbiamo avuto la concreta possibilità.»





Bisogna festeggiare. Non solo perché hanno battuto gli Heat, ma anche perché è l’ultima notte dell’anno. Due pullmini con vetri oscurati li passano a prendere direttamente all’American Airlines Arena. Parte una spedizione punitiva, e Jerry Vince è il condottiero. «Adesso vi porto io nel locale giusto», dice tutto orgoglioso.
La mezzanotte li sorprende in strada. Le vie straripano di gente che fa festa. Il clima è quasi carnevalesco. “Capodanno a Miami Beach. Roba da non crederci” scrive Gio a Simone, che nella lontana realtà parallela italiana ha già finito i festeggiamenti e riaccompagnato a casa Laura.
Il Sex On The Beach, uno tra i più esclusivi locali di Miami, li accoglie come si deve. Hanno un accesso diretto al locale e sono scortati dentro da bestioni in divisa. «Se questi scoprono che siamo la squadra che stasera ha stracciato gli Heat ci sbattono fuori», commenta timoroso Jack Williams, il texano con la cresta da moicano.
«Credo che sappiano perfettamente chi siamo, Jack», risponde Mark Gordon.
L’interno del locale è concepito in stile ‘spiaggia sull’oceano’, con la sabbia sotto i piedi, palme dappertutto, cocktail tropicali. La musica è assordante. La pista da ballo è piena rasa di ragazzi con camicie aperte che si dimenano davanti a bellezze che si strusciano provocanti. Un’intera area VIP è riservata ai Grizzlies. Due guardie del corpo con auricolari sorvegliano l’accesso ai loro divanetti. Sembrano bassi e minuti di fronte a Big Caro e Big Mike. Arrivano delle cameriere in bikini che portano bottiglie di champagne in cestelli del ghiaccio. «Ragazzi, stasera si festeggia con l’ambrosia della mia adorata Francia. Dom Pérignon per tutti! Accomodatevi, ma disponetevi in griglia, come ai tiri liberi. Lasciate spazio fra di voi», dice premurandosi che tra ogni compagno ci sia un posto vuoto.
«Che diavolo vuoi combinare, testa matta d’un francese?» si lamenta Stanley.
«Adesso state a vedere cos’altro ho preparato per voi», e batte le mani due volte come un maître d’altri tempi. Al segnale, una dozzina di ragazze fa il suo ingresso nel privè. Brune, bionde, rosse, magre, formose, bianche come avorio, mulatte, nere d’Africa, tutte bellissime: si siedono negli spazi tra un giocatore e l’altro, accavallano le gambe tornite e perfettamente lisce, si muovono in una nuvola di dolce profumo ed hanno sorrisi seducenti.
«Ora sì che facciamo festa!» esclama Jack mentre stappa una bottiglia di costoso champagne, spruzzando gli amici e soprattutto le ragazze, che ridono squittendo come graziosi animaletti. 
L’adrenalina della partita, l’euforia per la vittoria, la follia della festa, la compagnia di femmine lascive e disponibili, l’ebbrezza dell’ennesima coppa trangugiata a goccia: tutto inebria Giovanni, che si sente sul monte Olimpo. Così devono divertirsi gli dei, lassù nel cielo.
Il tempo si dilata all’infinito. Gli sembra che la notte possa durare per sempre e che i minuti scorrano come secoli. Una pazzia collettiva si è impossessata dei giocatori, che fino a due ore prima stillavano sudore sul campo. Sono giovani, famosi, nella piena forma dei loro corpi statuari, vincenti, acclamati, ammirati da platee infinite. Sono a Miami. Devono afferrare ciò che la vita può offrire. La musica pompa nelle loro teste confuse. Vogliono bere il succo della vita, che sa di fica e champagne. Gio si guarda intorno. Qualcuno è sceso in pista a ballare. Jerry ha una rossa sottobraccio e con lei beve dalla bottiglia. Jack si bacia con una biondina tutta elettrica. Una tetta bianca e morbida come una mozzarella affiora dal top. Mike ha una principessa nubiana sulle gambe. Sta a cavalcioni su di lui ed ha cosce enormi. Gli slip sono rossi. Non vede l’amico in viso, ma le sue mani gigantesche si muovono con maestria sotto la minigonna. Stanley sembra l’unico a non aver perso il controllo. Se ne sta lì con un giovane compagno di squadra, sorseggia dal suo bicchiere, gesticola, tutto preso da quello che sta spiegando, come se nulla stesse accadendo attorno a lui.
«Ciao, come va?» Una ragazza prende posto accanto a Giovanni. Ha un succinto corpetto fatto di brillantini, due bocce sode come marmo e lunghi capelli neri e lisci.
«Mi hanno detto che sei italiano. Sai, mio padre è spagnolo.»
Più in là, Jerry lo vede e gli fa l’occhiolino, accompagnato da un gesto più che esplicito.
Lei continua: «Mi piacerebbe molto vedere la Spagna, un giorno. Vorrei visitare anche l’Italia. Dicono che…»
La tipa ha appoggiato una mano sulla sua gamba. Il suo viso è a pochi centimetri. Ha labbra morbide e lucide. Un profumo intenso e fresco. Occhi azzurri, bellissimi. Molto meno profondi di quelli di Laura.
«Sai, tu mi ricordi una persona…» la interrompe Giovanni biascicando le parole. È ubriaco. All’improvviso si sente stanco.
«…una persona che ora è molto lontana. Scusa, devo prendere un po’ d’aria.»
Si alza dal divanetto. Esce dalla zona VIP, attraversa l’ampia sala da ballo e corre verso l’entrata principale. Il caldo lo opprime. Prende spallate da buzzurri latino americani tutti sudati. Corre fuori. Respira l’aria della notte.
Com’è strano. Sento che la febbre mi sta tornando.

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Omaggio al campione





Dal Capitolo 12 "Tyron - Mania"

La figura di Madison Stanley è chiaramente ispirata al grande Kobe Bryant.


"Arrivato a trentaquattro anni, con un ginocchio fragile come vetro, tutti lo giudicavano un campione mancato, ormai in declino, incapace di tornare ai vertici. Ed invece, come vedi anche tu, Madison non si è dato per vinto. Quest’anno sembra essere tornato alla sua forma migliore. Tutto ciò è merito solo della sua volontà d’acciaio e tutti noi lo ammiriamo per questo. Stanley è il primo ad arrivare in palestra. Quando abbiamo una partita, lui si fa portare sul campo almeno cinque ore prima, per allenarsi. Se una notte non riesci a dormire, John, prendi la macchina e fatti un giro qui. Troverai accese le luci della palestra e, se vai a vedere, troverai Madison che fa un tiro dietro l’altro. Stanley ha dedicato la sua vita alla pallacanestro e non ha intenzione di mollare. D’estate non fa le vacanze a Miami o alle Hawaii. Passa i giorni a migliorarsi, a lavorare sul suo fisico, portandolo oltre le sue capacità e superando i suoi limiti. Per lui funziona così da quando è nato, capisci? Fa mille tiri al giorno da quando ha nove anni. La sua è pura dedizione alla palla arancione, amico mio. Finché avrà vita, lotterà con tutte le sue forze per mettersi quel dannato anello al dito. Ora, forse, puoi capire perché si sente in diritto di giudicare chi ha avuto più fortuna di lui o chi non condivide il suo spirito di sacrificio".

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sabato 28 novembre 2015


L'ultimo canestro




L'INCIPIT DEL ROMANZO


Ultimo quarto, ultimo tiro. Mancano tre secondi alla fine. Ti arriva la palla, una consegna urgente, salda nelle tue mani. Sei dietro la linea dei tre punti. Puoi vincere la partita solo se metti la tripla. Il pubblico è tutto in piedi. Diciottomila individui urlanti all’improvviso trattengono il fiato. Il delirio si trasforma in silenzio. Sei smarcato, puoi tirare. Devi tirare e lo sai. Tutto svanisce davanti ai tuoi occhi. La mente si svuota. Gli schemi di gioco, le posizioni dei compagni, gli avversari, gli spalti, l’arena, i pensieri, le paure. Tutto scompare in un istante lunghissimo. Non c’è più nessuno. È una sfida individuale. Sei solo tu contro il cerchio rosso del canestro. I muscoli sanno cosa devono fare. Il movimento è istintivo, automatico. Ti stai giocando la partita, il campionato, la carriera, i sogni, la reputazione, la storia, la vita. Ma la mente è astratta. Il destino è nelle tue mani sotto forma di una sfera arancione a spicchi. La mente è concentrata. Tutto svanisce. Carichi le gambe. Nei tuoi occhi c’è solo la traiettoria del pallone. Impressionante silenzio. Fai un respiro, imposti il tiro. Le braccia si contraggono, ogni singola terminazione nervosa delle dita sente il contatto con la palla. Abbandoni la terra. Salti. Butti fuori l’aria, lanci il pallone. Gli imprimi la giusta forza, la rotazione ideale. È la tua opera d’arte. È il tuo essere - concentrato in un movimento. Tutto è in quel tiro. Lasci la palla e qualcosa ti abbandona. Qualcosa non fa più parte di te. Una parte della tua anima se n’è andata. Ti sei lanciato nel vuoto, insieme a quel pallone. Hai scommesso. Il destino sta per compiersi. Tocchi terra, resti a guardare. Il braccio destro ancora alzato, il polso piegato dopo il rilascio del tiro. Gli occhi fissi in un istante lunghissimo. Il cronometro segna la fine. Il tabellone si illumina di rosso. La sirena lancia il suo urlo monocorde. Il giudizio finale. Tutti gli sguardi del palazzetto, della nazione, del mondo sono fissi sulla tua opera. Il tuo capolavoro o la tua rovina. Può entrare direttamente in retina con il suono netto e superbo del nylon. Può rimbalzare sul ferro, appoggiarsi spavaldamente al tabellone, carambolare e poi entrare con un violento brivido, portandoti la vittoria. Sarai osannato dal pubblico, rincorso dai tuoi compagni, portato in trionfo. Oppure il tiro può arrivare lungo, spiattellarsi sul secondo ferro, impennarsi in alto per poi atterrare direttamente nelle mani del rimbalzista avversario, che scaraventerà la palla in alto celebrando la sua irrevocabile vittoria. E tu resterai lì, sconfitto, umiliato, abbasserai la testa, le braccia, gli occhi a terra.  Il tempo è sospeso e una domanda risuona dentro di te: come andrà a finire? L’universo è in gioco per una sola ed ultima volta.
Tutti giocatori di basket vivono per questo istante. Ne hanno bisogno. Le ore di allenamento, le sessioni di tiro, i pesi, la corsa, la dieta, le trasferte, le stagioni, le statistiche, le classifiche, le strategie, gli equilibri, tutte le parole dette e non dette, le scommesse, le critiche, le pagelle, le voci, i titoli dei giornali, le copertine delle riviste, i contratti, i manager, gli accordi, gli sponsor, le urla del pubblico, il successo, il prestigio, tutto quanto è contenuto nell’istante che decide l’ultimo tiro. Il big shot, il tiro decisivo, il buzzer beater, il lancio che batte il cronometro allo scadere e regala la vittoria più bella sulla sirena. Questo è il brivido che rende unico il basket. Un’emozione che nient’altro al mondo può regalare: giocarsi la vita con un tiro da tre punti.



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martedì 17 novembre 2015

I tattoo di un giocatore NBA




DAL CAPITOLO 17 "L.A. CONNECTION"


Travis Banner si è già tolto la camicia, come se non aspettasse altro che mettere in mostra l’opera d’arte multicolore incisa sui suoi muscoli. Ogni tattoo indica una tappa della sua vita, un concetto, un’emozione. C’è la torre di Seattle, la città in cui è cresciuto in un orfanotrofio. Ci sono le parole delle canzoni che hanno segnato la sua esistenza. C’è il ritratto di Mr. Doggy, un bastardino che è stato il suo unico amico d’infanzia e di cui ha conservato una sola fotografia. Sul braccio destro svettano le alte montagne di Denver, dove ha iniziato la sua carriera NBA. Aveva tatuato anche il logo della squadra, sopra di esse, ma quando l’hanno ceduto senza preavviso, ha coperto quel disegno con l’immagine di una palla che prende fuoco. La sua passione per il basket s’è accesa ancora di più, dopo quel voltafaccia. Sulla schiena c’è una carpa Koi giapponese che risale la cascata, segno di determinazione nella riuscita di un sogno, ma le acque si confondono con il fiume Mississippi che attraversa la città di New Orleans, dove ha giocato per due anni e dove ha assistito al disastro provocato dall’uragano Katrina. Ci sono le palme di Malibu, segno del suo arrivo a Los Angeles. E poi un dragone viola che percorre tutto il suo braccio sinistro, secondo la tradizione orientale simbolo del destino, della forza e dell’equilibrio tra cielo e terra. Nella zampa destra, tre artigli stringono la sfera del desiderio, che è una palla da basket dorata che contiene il simbolo dei Lakers. Giocare nella squadra di Magic Johnson è per lui un sogno diventato realtà. Sul petto, a destra, c’è un cuore che arde in una fiamma azzurra. «La passione fredda, che nasce dalla mente. Il mio vero cuore batte a destra.» Appena sopra, il simbolo dei dollari. «Non bisogna amare altro, solo il denaro.»
Diversi teschi, disseminati qua e là, gli ricordano amici e fratelli morti. Qualcuno ha occhiali particolari sulle orbite, cappelli, baffi, altri sigarette o joint fra i denti, uno ha la testa infilzata da una siringa, «James, morto per eroina tre anni fa». Il collo di Travis è fatto a scaglie simili a quelle di un rettile. «Se vuoi sopravvivere in questo mondo senza pietà, devi essere viscido e a sangue freddo, come i serpenti».

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mercoledì 11 novembre 2015

Le luci di Times Square




 DAL CAPITOLO 5 "NBA DRAFT"

 Times Square, Manhattan, New York, Stati Uniti. Ore 22.37 del 25 giugno. La famiglia Tironi è riunita oltreoceano nell’incrocio più rappresentativo della Grande Mela. Giovanni li osserva attentamente e sorride. Tiene per mano Laura: ha occhi grandissimi che riflettono tutti i colori dei megaschermi. Gli dice: «È come se ci fossi già stata, qui, anche se è la prima volta.»
Guarda dove ti ho portata stasera, amore mio. Dimentica la piccola Cassano, sei con un giocatore NBA adesso - pensa Gio, sicuro di sé come non lo è mai stato in vita sua. La sua t-shirt aderente mette in rilievo muscoli asciutti e addominali ben delineati. Il vento di New York scompiglia i suoi capelli, ma non lo scalfisce.
    Il mondo gira attorno a loro, questa sera, come una telecamera, a 360 gradi. C’è anche Simone, accanto al piccolo Andrea. Le mille insegne luminose sparano i colori dell’arcobaleno sui loro volti, che hanno bocche spalancate dallo stupore. Fermi come statue, girano su sé stessi ipnotizzati da luci, flash ed immagini. Uno fissa l’enorme foto pubblicitaria di una fotomodella in lingerie, l’altro lo spot di uno spettacolo di Broadway con i suoi robot preferiti. Entrambi hanno la stessa espressione stampata sul viso, mista di meraviglia, stordimento e desiderio.
    E poi Maria ed Anselmo, vicini come non lo sono mai stati, dubbiosi quasi impauriti, esposti, fuori confine e fuori controllo. Si guardano attorno ammutoliti. Suo padre, coi calzoncini corti color cachi, le scarpe grosse da ginnastica e i calzettoni bianchi di spugna, senza saperlo si è perfettamente mimetizzato con il glorioso popolo americano.
    Famiglia Tironi riunita a Times Square, che spettacolo. Silenziosi a bocca aperta. Viene voglia di fotografarli in questo momento unico. Anselmo esprime la sua sentenza finale: «Immagina che bolletta della luce, a fine mese». E Maria annuisce, considerando la medesima cosa.
    Giovanni li accompagna in hotel che sono stremati. Andrea già dorme in groppa al fratellone. Poi si ferma all’open bar dell’hotel, con la sua ragazza ed il suo migliore amico, per raccontare, spiegare, sperare, parlare. Nella città che non dorme mai.



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sabato 31 ottobre 2015

ATTO DI FEDE

Il coach spiega al giovane talento come sarà la sua vita da giocatore professionista

 


Dal CAPITOLO 4 "SOTTO CONTRATTO"


Il coach riflette, lascia andare un sospiro. Poi inizia: «Ascolta. Lascia che ti spieghi come sarà la tua vita dopo che avrai deciso di mettere quella firma». Gio espira il fumo dai polmoni e ne ammira le volute. Poi sposta lo sguardo verso il coach.
«Non ci saranno sabati né domeniche perché tutti i giorni avrai allenamenti e partite. I tuoi amici andranno al pub a bere, tu sarai ad allenarti. I tuoi amici andranno al mare, tu sarai ad un torneo. I tuoi amici si tromberanno la ragazza, tu vedrai solo la retina del canestro. Non avrai ferie e non ci saranno altri pensieri che non siano la tua carriera. Da oggi la tua partita ed il tuo gioco coinvolgono altre persone che lavorano insieme a te e fanno affidamento sulle tue prestazioni. Sarai un giocatore di pallacanestro da quando ti sveglierai la mattina fino a quando andrai a dormire stremato alla sera, con tutti i muscoli indolenziti e la schiena rotta. Respirerai basket, mangerai basket e cagherai basket. Ogni tua azione sarà finalizzata al miglioramento delle tue prestazioni sportive. Ogni tuo pensiero, ogni tua priorità sarà assorbita dal lavoro. Un lavoro fuori dagli schemi. Non timbrerai un cartellino e non staccherai dal campo per dedicarti ad altro, nemmeno per un minuto. Avrai una missione, un obiettivo, uno scopo che assorbirà ogni fibra del tuo essere. Se non farai di tutto per migliorarti, se ti lascerai andare, se abbandonerai la sfida, sarai solo un perdente. Ci saranno giorni in cui darai il massimo e non ti muoverai di un millimetro. Pioveranno critiche, delusioni, frustrazioni, ci saranno partite, coppe e campionati persi all’ultimo tiro. Ti daranno del fallito centinaia di volte, ma nessuno potrà scalfirti finché crederai in te stesso. Questo significa essere un professionista. Metti una firma su quel contratto e sarai come un ragazzino che entra in seminario per farsi prete. Non accetterai solo un lavoro, ma una scelta di vita durissima.»
Giovanni ha già spento la sigaretta nel posacenere. Non vede l’ora di entrare, prendere la sua stilografica dorata e mettere una sigla sul suo futuro.


Come andrà la scalata di Gio al successo?

Ebook disponibile ADESSO a 4,99 euro in tutti gli store digitali (Apple, LaFeltrinelli, Amazon, IBS).

Leggi GRATUITAMENTE le prime cinquanta pagine e scrivi un commento:
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Guarda il trailer del romanzo:
https://www.youtube.com/watch?v=mdC-XQer9T4

giovedì 22 ottobre 2015


NBA WAGS CONTEST 

Regolamento Ufficiale

 

ovvero LE GIRLS DEI GIOCATORI NBA

Con chi si accompagna l'avvenente ragazza che si mostra nel post della settimana? Indovina e vinci il nuovo eBook di "NBA L'Ultimo Canestro", il primo romanzo italiano ambientato nella National Basket Association a stelle e strisce.



REGOLAMENTO

Ogni settimana, giorno e ora imprecisate, avrai la possibilità di partecipare al contest più piccante che riguarda la NBA, seguendo le piattaforme social di "NBA L'ultimo Canestro".


Su Facebook

1. Segui la pagina facebook di Nba Ultimo Canestro (www.facebook.com/nbaultimocanestro). 
2. Indovina il nome della ragazza nella fotografia e specifica la star NBA con la quale ha avuto una relazione di tipo sentimentale, più o meno duratura (dalla scappatella al matrimonio!) Per partecipare rispondi al post. Fra tutti coloro che avranno risposto correttamente, sarà scelto un vincitore.
N.B. : chi risponde per primo NON è automaticamente il vincitore. La scelta è a completa discrezione dell'organizzatore del contest ed è insindacabile.
3. Il nome del vincitore sarà comunicato nell'arco di due o tre giorni con un apposito post. L'interessato sarà anche contattato privatamente via messaggio.
4. Se il vincitore condividerà la foto della copertina di "NBA L'Ultimo Canestro" sul diario della sua pagina personale, e risponderà al messaggio privato fornendo il suo indirizzo e-mail, potrà scegliere se ricevere una copia dell'eBook in formato .pdf o .epub


Su Twitter

1. Segui i tweet dell'account Nba Ultimo Canestro (@FabioRapizza). 
2. Indovina il nome della ragazza nella fotografia e specifica la star NBA con la quale ha avuto una relazione di tipo sentimentale, più o meno duratura (dalla scappatella al matrimonio!). Per partecipare rispondi al tweet. Fra tutti coloro che avranno risposto correttamente, sarà scelto un vincitore.
N.B. : chi risponde per primo NON è automaticamente il vincitore. La scelta è a completa discrezione dell'organizzatore del contest ed è insindacabile.
3. Il nome del vincitore sarà comunicato nell'arco di due o tre giorni con un apposito tweet. L'interessato sarà anche contattato privatamente via messaggio.
4. Se il vincitore condividerà la foto della copertina di "NBA L'Ultimo Canestro" con un tweet sul proprio account, e risponderà al messaggio privato fornendo il suo indirizzo e-mail, potrà scegliere se ricevere una copia dell'eBook in formato .pdf o .epub

N.B. L'opera "NBA Ultimo Canestro" è coperta da diritti d'autore e non può essere diffusa, citata o riprodotta senza autorizzazione dell'autore o dell'agenzia di pubblicazione. 

per ogni informazione: nbaultimocanestro@gmail.com

Siete pronti? Le donne più belle della NBA stanno arrivando...



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sabato 17 ottobre 2015

Madison Square Garden


 

DAL CAPITOLO 10 "MADISON SQUARE GARDEN"


«DE-FENSE! DE-FENSE!»
Su diciottomila spettatori presenti, almeno la metà sta urlando a squarciagola per spronare la propria squadra a difendere duro sugli avversari. Gli altri addentano un hot dog, oppure tracannano birra dai bicchieroni da un litro.
         «DE-FENSE! DE-FENSE!»
    Il pubblico sembra divertirsi. È Natale e la squadra di casa sta vincendo. Sono stati distribuiti berretti da Santa Claus e i bambini hanno gadget e trombette. Il “menu offerta” per la partita regala un waffel con cioccolato caldo ogni dieci dollari di consumazione. Tutti i più caramellosi jingle natalizi, anche in salsa rock, movimentano i time-out. 

In mezzo a claps, cori, musica e percussioni, Giovanni si sente come stordito. Non si accorge che Livingstone lo sta chiamando. Per fortuna il compagno di panchina lo riporta alla realtà con uno scossone. Allora gli arriva la voce stridula del coach: «Tyron! Muovi il culo e vieni qui!»
Come un gatto colpito dalla fionda di un ragazzetto dispettoso, Gio si precipita di fronte all’allenatore. «È il tuo momento. Preparati ad entrare al posto di Jack!» Seguono le indicazioni del coach, urlate nell’orecchio e condite da numerosi sputacchi: «Non cagarti sotto adesso! Pensa solo a smarcarti e a ricevere palla. I ragazzi sanno come fare. Al primo tiro che sbagli ti rimetto in panchina! Mostrami le tue palle italiane, adesso!»
Vuoi per il frastuono dei tifosi, vuoi per la velocità del parlato americano, vuoi per l’emozione, Gio capisce ben poco di queste parole. Però gli arrivano chiare e distinte le ultime esortazioni: «Show me your italian balls, now!»
I ragazzi in panchina ghignano sarcastici, quasi con aria di sberleffo. Mentre si sbarazza con un solo colpo dei pantaloni a strappo della tuta e si leva la maglia a manica lunga, gettandoli all’assistente, Gio si avvicina di corsa al banco della giuria, in attesa di entrare in campo. Fa un po’ di stretching ed osserva il tabellone centrale: restano 7 minuti e 12 secondi alla fine dell’ultimo quarto e la sua squadra è sotto di 16 lunghezze.


Mentre il gioco si ferma per un fallo sanzionato da due tiri liberi, una forte sirena risuona nel palazzetto ed annuncia il cambio. Jack Williams esce dal campo e lascia il posto a Gio battendogli un cinque: «Buona fortuna, amico».
L’entrata della matricola, nell’indifferenza del pubblico, è ripresa dalle telecamere e trasmessa sul megaschermo centrale del palazzetto, in diretta nazionale e mondiale: milioni di persone sono testimoni inconsapevoli di un nuovo debutto in NBA.
Non appena le sue scarpe toccano il parquet lucido del campo, il frastuono della folla scompare d’improvviso. Giovanni cerca la concentrazione dentro di sé. Sa che deve sfruttare il suo momento. Mentre il giocatore avversario esegue il secondo tiro libero, Jerry Vince, il playmaker della squadra, gli si avvicina: «Cerca di stare smarcato e ti servirò. Potrebbe essere in qualsiasi momento, anche quando sono in area, ok?»
 
Come andrà l'esordio di Giovanni in NBA?

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lunedì 12 ottobre 2015

Un duello tra Colossi




DAL CAPITOLO 11 "TRASFERTA A EST"


Immaginate le due torri di un castello. Due torri che si muovono, corrono e si spaccano l’una contro l’altra. Immaginate il fragore. Immaginate Mike Smithson, 2,05 metri, contro Jason Bolder, 2,07 metri. I contatti tra i loro corpi mastodontici sono micidiali e se le danno di santa ragione. Giovanni, dalla panchina, sente anche quello che si dicono.
«Allora, come sta quella troia di tua moglie?»
«Me la sbatto tutti i giorni insieme a tua madre.»
«Dimmi, se lo ricorda com’è fatto un vero uomo?»
«Lo vedrà stasera, dopo che ti avrò rotto il culo.»
Le telecamere non fanno che puntare i due avversari. Continue statistiche li mettono a confronto. Quasi al termine del secondo quarto, Jason sta a 14 punti e 8 rimbalzi, Mike invece è già in ‘doppia doppia’, con 13 punti e 10 rimbalzi. Questa sfida lo esalta.
Lottano per la palla come bestie feroci. Ad ogni possesso si spingono, si graffiano, si allacciano con le braccia stringendosi in morse strette. In un taglia-fuori, per conquistare spazio a rimbalzo, Jason spinge l’avversario a terra. L’arbitro fischia il fallo. Mike, sentendosi umiliato, al limite della sopportazione, si rialza accecato dalla rabbia. Si dirige a passi decisi verso Bolder. In quel momento è una macchina assetata di sangue. Ogni ostacolo tra lui ed il suo nemico deve essere annullato. Jason gli fa segno di avvicinarsi, lo attende a petto gonfio e mento alto. L’arbitro si mette tra i due, Mike lo spinge via. L’ufficiale di gara inciampa e cade. Bolder afferra Mike per il collo, e quasi gli tira un pugno in faccia. È rissa. Le panchine entrano in campo. Il pubblico va in delirio. Chiunque cerchi di separare i due finisce a terra. Un giocatore di Boston si prende una gomitata in bocca. Il suo sangue schizza sul parquet. Solo l’intervento di Carolina Walk risulta decisivo per dividerli.
La decisione arbitraria è irrevocabile: i due giocatori sono immediatamente espulsi. Seguiranno giorni di squalifica. Accompagnano Mike fuori dal campo, sotto i fischi del Garden. Scott Bridge, assistant coach, ha una mano sulla sua spalla. «Portateci in palestra» - dice al servizio di sicurezza - «altrimenti questo vi demolisce lo spogliatoio.»
Mike ha bisogno di sfogarsi su un sacco da boxe.
Intanto, la sirena dell’intervallo lungo ferma il punteggio 49 a 43 per Boston. Livingstone pensa ad una tattica diversiva, mentre parla ai ragazzi...

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venerdì 9 ottobre 2015








Occhi smeraldo al campetto cittadino



DAL CAPITOLO 3 "CELEBRITA' LOCALE"


Gio schiaccia il cinque ai ragazzi e raggiunge Laura che lo aspetta nel parco, sotto i larghi tigli. Si tormenta le punte dei capelli con le dita. Ha capelli neri e lisci come una sposa orientale. Il verde di tutto il parco attorno non vale un centesimo dello smeraldo intenso e magnetico dei suoi occhi.

«Gio sei davvero bravo…molto più di quanto immaginassi!»
«Grazie! Non mi aspettavo di trovarti qui.»
Laura ha un attimo d’esitazione, poi chiede: «Come ci riesci? Come li segni tutti quei canestri?»
«Non lo so, davvero. È una cosa che mi succede e che non so spiegare.»
«Una cosa fenomenale», aggiunge Laura con un filo di voce.
C’è qualcosa di strano in lei. Non è vivace come suo solito, appare piuttosto riflessiva. Ha lo sguardo rivolto verso terra, come assorta in un fiume di pensieri. La sua pelle è bianchissima, ha un vestitino nero. Smalto nero sulle unghie. Le dita contorte in una morsa.
«C’è qualcosa che non va Laura? Ti vedo strana.»
«No, niente. Mi accompagni a casa?»

Ma un “niente” detto a mezza voce da una donna è sempre il riflesso di un pensiero che l’affligge. Una presunta tragedia che forse non avverrà mai.



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martedì 6 ottobre 2015

Livingstone, il coach della follia





DAL CAPITOLO 18 "TRAINING HELL"


La squadra, seduta attorno al cerchio di centro campo, sembra riunita come una tribù indiana. Per la prima volta, dopo una settimana, i ragazzi si guardano in faccia e percepiscono l’idea di gruppo. Con fare frenetico, Livingstone estrae diversi ritagli di giornale dalla sacca. Ne sceglie uno e comincia a leggere una parte evidenziata in giallo: «Per i Memphis Grizzlies, invece, si prospetta un’altra stagione fuori dai playoff e dalle zone alte delle classifiche.»
Ne sceglie un altro: «La squadra manca di grandi personalità ed è priva di elementi determinanti.»
«Uh, aspettate, questo è il migliore», dice spiegazzando la pagina di una rivista. «Soltanto un allenatore come Livingstone può costruire una squadra attorno ad una stella in declino, un centro privo di ogni esperienza ed un playmaker che non vede l’ora di fare le valigie e andarsene da Memphis.»
« Cosa ne pensate? È l’estratto di un’intervista a coach Mark Bittner, un mio ex compagno di college. Davvero un amico.»
Livingstone passeggia attorno al cerchio dei giocatori e li guarda tutti negli occhi. «L’analisi è impietosa ma corretta, non è così?»
Mostra l’articolo a tutti.
«Volete dargli ragione? Volete che sia Mark Bittner a profetizzare il nostro futuro? Cosa volete essere? Perché sta a noi decidere, a questo punto.»
Il coach si posiziona nel mezzo del cerchio. Siede a gambe incrociate. Li fissa.
«Certo, possiamo essere una squadra senza personalità, con stelle in declino, giocatori che se ne vogliono andare, e portare avanti la stagione giusto per finirla.»
Ha occhi da lupo affamato. Quasi inquietanti per l’energia che contengono.
«Oppure possiamo essere la sorpresa del campionato. Un gruppo di bastardi talmente affiatati da fare il culo alle favorite. Se ci state, se siete con me, questo articolo lo farei rimangiare per intero a chi ci dà per spacciati.» Si alza in piedi, prende il pezzo di giornale, lo fa in quattro pezzi e lo getta al centro del cerchio. I giocatori fremono. L’orgoglio si risveglia nei loro cuori.

«Ho portato un regalo per ciascuno di voi». Dal borsone estrae dei libretti con una copertina verde. Li fa girare in modo che ognuno abbia la sua copia.
«Visto che siete un branco di analfabeti che dal college non fa altro che giocare a basket, considerato che avete passato gli anni universitari senza prendere in mano un libro, un po’ di lettura non vi farà per niente male», dice sorridendo. Il libro, un’edizione tascabile, arriva anche a Giovanni, che legge autore e titolo: Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia.
«Come possiamo trasformare una squadra sottostimata da tutti in un team vincente? Su questo ho le idee ben chiare. Dobbiamo partire da due principi fondamentali. Il primo è che non arriveremo da nessuna parte se prima non saremo un gruppo che si muove verso la stessa direzione, con intenti comuni e grande affiatamento.»
«Secondo punto. Ci serve un briciolo di follia. Andate tutti a pagina 127. Francesino» - dice rivolgendosi a Jerry Vince - «ti dispiace leggere ad alta voce dal secondo capoverso? Alzatevi tutti in piedi, per cortesia.»
I ragazzi si alzano, mentre Jerry inizia a leggere con perfetta intonazione: «Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l'animo e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese. La follia libera da entrambe. Non vergognarsi mai e osare tutto: pochissimi sanno quale messi di vantaggi ne derivi.»
«Allora, qualcuno qui dentro ha paura?» esclama il coach.
«No», «Nossignore», «Non io» - rispondono a mezza voce.
«Diamine, non vi sento! Volete rispondere tutti in coro? C’è qualcuno qui che ha vergogna?»
«No!» risponde la squadra all’unisono.
«Siete pronti a mettere la follia nel vostro gioco?»
«Si!»
«Siete pronti a farvi il culo, per fare il culo a chi ci dà per morti?»
«Sì!» Il coro è sempre più forte è deciso.
«E allora cominciamo questo campionato all’insegna della follia! Uno, due, tre…»
«…Grizzlies!» - urlano i ragazzi inferociti.

venerdì 2 ottobre 2015

Un intero capitolo per la vostra lettura....


CAPITOLO 2

ALBA ROSA SU CAMPO ARANCIO





I

Lei sei del mattino, lunedì. L’alba è rosa sulla nuova settimana che sta per iniziare. Il bar del centro sta aprendo. I giornali sono in pila fuori dall’edicola. Un gatto attraversa la strada. Rondini stridule tagliano il cielo.
Il campetto, deserto e vuoto - con il sole nascente ad illuminarlo - sembra surreale. Anche se il parco è chiuso c’è un accesso segreto, una breccia nella rete dietro un palo della luce.
Giovanni è solo. Indossa una felpa blu scuro con il cappuccio tirato sulla testa e si sente come un ladro o un fuggitivo. L’erba del prato è umida e fresca. Il cancelletto del campo da basket cigola rumorosamente. Quando entra, mettendo piede sulla terra rossa, gli sembra di varcare uno spazio sacro. Ai margini ci sono bottiglie di plastica vuote e qualche foglia. Tutto è troppo silenzioso. Gio vorrebbe tornare indietro, ma non può, sente che questa cosa deve farla da solo: deve scoprire la verità, deve contare i canestri. Deve capire.
Dallo zaino estrae il pallone. Alza le maniche della felpa. Cammina, palleggia tre volte verso il canestro di nord. Si ferma al limite dell’area, inspira, carica sulle gambe, salta, rilascia. Traiettoria perfetta, attimo infinito. La palla sbatte sul secondo ferro ed entra nella retina. Sdleng! Il rumore di metallo risuona in tutto il parco. Sembra l’incasso di una slot machine. Gli uccellini volano via dai tigli circostanti.
Gio tira ancora. È vicino all’area pitturata. Tabella e canestro.
Palleggia più in là. Si gira, salta su una gamba sola cadendo indietro, tira male, fa canestro.
Va alla linea dei liberi. Respira, tira, canestro.
Tira di nuovo, canestro, sola rete.
Tira ancora. Canestro.
Corre, va al margine destro dell’area, si ferma, tira. Fa canestro.
Recupera il pallone, va all’estremità sinistra del campo. Salta, tira, fa ancora canestro.
Si mette in posizione centrale dietro la linea dei tre punti. Tiro, buona parabola, canestro.
L’intera struttura del tabellone è come uno strumento a percussione che risuona violento ad ogni colpo del pallone e riempie col suo rumore metallico tutto il verde silenzioso del parco. Il cuore di Giovanni è un tamburo che batte all’impazzata. Lui corre dietro alla palla e sente caldo. Inizia a sudare. Sta assistendo ad un miracolo e non c’è nessun testimone. Non c’è nessuna ragione. Adesso non mi fermo finché non ne sbaglio uno.


II

Indietreggia e si posiziona ad un metro dalla linea dei tre punti. Mette tutta la forza nelle braccia, salta, tira e fa canestro.
Recupera la palla, ci riprova, segna ancora.
È quasi a metà campo. Prende un po’ di rincorsa. Lancia con entrambe le mani. Tabella, ferro, canestro.
La recupera. Ci prova dal cerchio della metà campo. Mentre sta lanciando sente una fitta al braccio destro, un crampo dovuto all’eccessivo sforzo a muscoli freddi.
La palla prende il ferro e schizza via, rimbalza, rotola lontano, si ferma contro la rete.  Stavolta ha sbagliato solo a causa del crampo.
Giovanni è piegato sulle ginocchia, tutto sudato. Respira affannosamente. Non sa se urlare o piangere. Non sa se ridere o spaventarsi.
A questo punto, credo che se avessi la potenza per tirare da cento metri, potrei segnare anche da lì.
Sente che una forza invisibile lo guida nei tiri. È come se dentro sé avesse un pilota automatico che guida i suoi movimenti al momento del tiro e genera lanci perfetti. Per quanto i suoi fondamentali del basket siano primitivi, per nulla fluidi o studiati, la palla riceve sempre il giusto impulso per entrare in rete. Si sente come posseduto da un demone.
Il cuore batte irregolare, non solo a causa dello sforzo fisico. Il sudore sulla sua fronte è un freddo distillato di panico. Gio ora intuisce cosa si prova ad essere un dio. Si sente come un supereroe dopo la manifestazione del suo superpotere. Tutto è chiaro: ha un dono speciale. Le gambe gli tremano ed un urlo fortissimo gli resta imprigionato nella gola, come se avesse scoperto di aver vinto alla lotteria milionaria, senza aver ancora realizzato come e quanto la sua vita cambierà per questo.
Recupera il pallone e riprende a palleggiare. Il dolore al braccio sta diminuendo.







III

«Ma voi ragazzacci della minchia dovete venire qui anche alla mattina? Chi ti ha aperto?» sbraita Alfredo, il custode che gestisce anche il baretto all’interno del parco.
«Che cazzo di esigenza vi prende di venire a giocare a quest’ora?» continua il sorvegliante sciancato, che zoppica verso il campetto con fare minaccioso.
«Scusa Alfredo, ci sono solo io, stamattina non riuscivo a dormire», risponde Gio.
«E fatti una sega se non riesci a dormire! Non puoi entrare qui come cazzo vuoi, lo capisci ragazzo?»
«Adesso me ne vado. Anzi…stai aprendo il bar?» L’intuizione di Giovanni è fulminea.
«Si, adesso apro, perché?»
«Senti, la vuoi fare una scommessa?»
«Io? E su cosa diavolo dovrei scommettere?» Alfredo ha già drizzato le orecchie. Alla parola “scommessa” un riflesso condizionato gli porta la bava alla bocca. Lui ci spende mezzo del suo stipendio nelle scommesse sportive e passa tutto il giorno a controllare i risultati dei campionati di calcio sudamericani, australiani e di chissà quale improbabile gara sportiva mondiale. Il suo sogno è quello di aprire un nuovo bar che sia anche centro di scommesse sportive. In attesa della sua vincita milionaria.
«È molto semplice. Se faccio canestro da qui mi offri cappuccio, brioche e succo d’arancia.» Gio è fermo a metà campo.
Alfredo aggrotta le ciglia e tira su col naso. «E se sbagli, ragazzino, com’è facile che sia?»
«In tal caso mi sbatti fuori e ti do queste venti euro». Gio estrae dalla tasca dei pantaloni l’azzurrognola banconota.
Alfredo pensa già a come scommettere quei venti euro sull’estrazione delle squadre di Coppa Italia. «Va bene. Siamo d’accordo, pazzoide! Tira e levati dai coglioni.»
Stai a vedere sciancato, e scalda la macchina del caffè! - pensa Gio.
Respira a fondo. Si stiracchia, allarga le braccia e le alza sopra la testa per due volte, sente il braccio destro ancora indolenzito. Prende la rincorsa dall’area del canestro di sud e, non appena entra nel cerchio di metà campo, fa un salto e lancia la sfera a spicchi, che vola alta nel cielo rosa ormai azzurro, ricade, sbatte contro i due ferri e s’infila disciplinata a canestro. Alfredo resta a bocca aperta circa tre secondi.
«Oggi è il tuo giorno fortunato, brutto figlio di puttana!»
«A proposito. La brioche la voglio vuota e sul cappuccio mi spolveri un po’ di cacao, ok?»

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giovedì 24 settembre 2015


"Il vostro corpo è sotto tutela assicurativa della NBA"

Le indicazioni dei dirigenti delle squadre ai giovani rookie sull'onda del successo



DAL CAPITOLO 8: "TRAINING HELL"

«State soprattutto attenti ai rapporti sessuali. Evitate di avere incontri occasionali, e se proprio non potete farne a meno, assicuratevi sempre che la vostra partner sia maggiorenne, al costo di chiederle un documento. Fatevi vedere in sua compagnia in posti pubblici e fatele esprimere in modo chiaro che è consenziente al rapporto, prima di toccarla con un dito, se non volete trovarvi con l’accusa di molestie sessuali. Evitate pratiche estreme, e per estreme intendo quelle che prevedono strumenti o posizioni che possano esporvi a infortuni e ferite, come fiamme, catene, fruste, manette, strumenti sadomaso. Ricordate che il vostro corpo è sotto tutela assicurativa della NBA. È fondamentale che utilizziate tutti i metodi contraccettivi a vostra disposizione. Il preservativo potrebbe non bastare. Nel caso abbiate scelto di utilizzare il profilattico, fate in modo di non lasciarlo incustodito dopo il rapporto. Dovete andare in bagno, svuotarlo, buttarlo nello sciacquone e tirare l’acqua. Attenzione: la mancata esecuzione di una sola di queste operazioni potrebbe fruttarvi una costosa richiesta di paternità. Una donna può costruirsi una fortuna grazie ad un vostro figlio in grembo. La cosa trasformerebbe - perdonate il mio linguaggio - una mediocre scopata nella più grossa seccatura della vostra vita.»

    Vincent Sanders, avvocato delegato della NBA, sottopone ad un interessante addestramento la squadra dei Memphis Grizzlies, riunita in sala conferenze. Tutti i giocatori ascoltano attenti come ad una lezione di scuola. Le giovani leve, posizionate in prima fila, sono caldamente invitate a prendere appunti. Il seminario intensivo serve a delineare tutti i comportamenti che il giocatore NBA deve osservare in quanto figura pubblica, pena la sospensione o l’espulsione dalla Lega. La condotta prevede l’astensione dall’ubriachezza e dall’uso di stupefacenti, la moderazione nell’uso di armi, la non partecipazione a risse e atti violenti, un’immagine quanto più ordinata, decorosa e lontana da scandali di natura sessuale e penale.


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mercoledì 23 settembre 2015

Primo giorno di training camp in NBA... per Giovanni Tironi

FedEx Forum @ Memphis, Tennessee



 DAL CAPITOLO 7: MEMPHIS, TENNESSEE



È la prima giornata di training camp per i Memphis Grizzlies. Gio è emozionato come un ragazzetto al primo giorno di scuola. La sera prima è stato mezz’ora al telefono con Rick, il suo agente, che si è raccomandato: «Non fare il fenomeno, ascolta quello che ti dicono e se non capisci qualcosa alza il ditino e chiedi con cortesia. Cerca di essere servizievole con i veterani della squadra, non rispondere in nessun caso e non fissare nessuno negli occhi, ci siamo intesi?»
Memphis è una dinamica cittadina che si sveglia stropicciata e beve caffè in auto. Il traffico è scorrevole e bastano meno di dieci minuti per arrivare al FedEx Forum. Un ragazzo lo saluta dalla strada. Che mi abbia riconosciuto? Che sia il mio primo tifoso a stelle e strisce?
Arrivato al palazzetto, accede automaticamente al parcheggio privato. Non è nemmeno sceso dalla macchina che una gentile hostess si fa consegnare le chiavi e gli dà il benvenuto. «Buongiorno, signor Tironi. Mi chiamo Janice e sono qui per accompagnarla nello spogliatoio della squadra. Questo badge che le consegno le servirà per aver accesso a tutte le aree, comprese le palestre, l’area benessere, la zona ristoro, la piscina. La informo che tutti questi servizi sono a sua disposizione ventiquattro ore su ventiquattro. Massaggiatore, medico e consulenza psicologica sono fruibili con un’ora di preavviso.»
«Molto bene, grazie». Giovanni è introdotto da Janice nei corridoi della modernissima e confortevole struttura.
«Il suo armadietto e la sua postazione sono il numero 12. Non abbiamo ancora riportato il suo nome sulla cabina personale ma provvederemo quanto prima. Lo staff tecnico la informa che gli allenamenti avranno inizio alle dieci nella palestra ovest. La ringrazio. Sono a sua disposizione per ogni esigenza.»
Entra negli ampi spogliatoi. È presto e non c’è ancora nessuno. Si guarda attorno: schienali in legno massiccio, asciugamani profumati, luci calde, temperatura perfetta. Sulla parete di fondo c’è un impianto video con schermo da cinquanta pollici, una lavagna per gli schemi tattici, un tabellone con i prossimi impegni della squadra, la classifica ancora neutra. Si immagina la stanza piena di giocatori mezzo vestiti e sudati, gli scherzi ed i cori di un gruppo compatto ed amichevole. Sogna la festa dei compagni attorno a lui al termine di una partita vinta in casa: «Gran bel tiro Gio!» Una scossa di adrenalina lo riporta alla realtà.
Si avvicina alla postazione assegnata. Un asciugamano piegato è sulla panca. Sotto di essa, due paia di scarpe spedite dallo sponsor come modello di prova. Appese e perfettamente stirate, la tuta e la maglia leggera da allenamento. Dietro di esse, la divisa ufficiale della squadra con il suo nome e il numero 7. Che spettacolo.

Si è già tolto le scarpe ed i pantaloni, quando sente la porta dello spogliatoio aprirsi. Passi pesanti e decisi risuonano dietro di lui. Non vuole girarsi, si sente imbarazzato: non vuole farsi vedere dai compagni per la prima volta in mutande e calzini. Un uomo è entrato e si dirige proprio verso la sua postazione. Deciso ad ignorarlo, si piega in avanti per infilarsi i calzoncini. Una gigantesca ombra gli oscura la luce della stanza ed è sempre più incombente. Le natiche di Gio finiscono a contatto con due gambe solide come un tronco di quercia. Per un riflesso istintivo torna di scatto in posizione eretta. I pantaloncini ricadono ai suoi piedi. Sente un respiro caldo sulle sue spalle. Un dito batte sulla sua clavicola e sembra polverizzarla. Si gira di scatto e resta inorridito. Un mostro sta per divorargli la faccia.














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lunedì 21 settembre 2015

"Piovono palloni dai canestri..."




DAL CAPITOLO 1 "STRANI FENOMENI AL CAMPETTO"


Piovono palloni dai canestri. Tutti tirano in modo confuso, in muta attesa. Ci si guarda furtivamente, si immaginano le squadre. Saranno i veterani a sancire l’inizio della partita. I potenziali giocatori sono sette. Numero dispari. Ancora non si può fare. Ci si mette sotto canestro e si inizia a tirare per riscaldamento.
Giovanni si sente strano, a disagio. Gli occhi di Antonio, di Ahmed e di tutti gli altri sono punture fastidiose sulla sua pelle. Ahmed mi guarda malissimo. Se mi scappa ancora un ‘negro’ mi spacca la testa. Antonio è dall’altra parte, sorride beffardo. Ho paura che mi facciano fare la figura dell’incapace. Gio ha paura di perdere, di non essere accettato, di cadere per terra, di essere insultato. Ha paura di non essere nessuno, di essere rifiutato. Non ha nulla, ma ha paura di perdere tutto. Però, dentro di sé, ha una forza che sembra nuova. Sente la vita esplodere in modo inspiegabile nelle vene e in miliardi di terminazioni nervose. Ha una fortissima voglia di correre, lottare, affermarsi, dimostrare quello che è veramente. Sembra timido, goffo, intimorito, ma ha un leone dentro. Vuole vivere e fare a botte. Sarà l’estate, saranno gli ormoni, chissà. C’è una forza inspiegabile, che lo urta dentro e lo spinge alla sfida. Voglio andare oltre i miei limiti. Non vedo l’ora di iniziare questa cazzo di partita.
 
Simone gli passa la palla. Quasi lo prende in faccia, perché - sbadato come al solito - è mezzo girato a guardare Antonio. Senza pensarci riceve, tira e fa canestro. Va a rimbalzo, passa a Giuspe, che tira un mattone che rimbalza oltre il campo. Corre qua e là, si stiracchia le gambe. Riceve di nuovo, rilascia, stavolta segna dai cinque metri. Simo lo serve di nuovo, tira dall’area, appoggia di tabella. Qualcosa si muove in automatico dentro di lui.
«Ci stai prendendo la mano, eh?», dice l’amico.
Giuspe, di poco più piccolo, spalanca gli occhi stupito e resta ad osservare.
Giovanni prende la palla e si piazza alla linea dei tiri liberi. Ne segna cinque di fila. Cosa succede? Vuole mettersi alla prova, così va dietro la linea dei tre punti, a oltre sei metri dal canestro. Segna ancora. I ragazzetti intorno cominciano a guardarlo con occhi diversi. Simone è incredulo: «Ma che diavolo…»

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sabato 19 settembre 2015

"Un uomo è solo di fronte a canestro, così come è sempre e comunque solo di fronte alle difficoltà della vita"


Vita e sacrificio, concentrazione e tiri liberi, Zen giapponese e basket ?!?

DAL CAPITOLO 18 "ZEN MASTER"

«Un tiro libero può essere fondamentale per l’esito di una partita. Perché tuttavia molti giocatori in NBA hanno medie imbarazzanti ai liberi? Perché da cinquant’anni non c’è stato nessun miglioramento nella media dalla lunetta? La verità va cercata nel nostro stile di vita, anche fuori dal campo da basket. Facciamo caso ad ogni cosa, tranne che alle nostre emozioni. Ci conquistiamo un posto nel mondo, lottiamo ogni giorno, ma spesso non abbiamo un dialogo minimo con noi stessi».
«Parliamo dei tiri liberi. Quando tirate, vi concentrate sull’aspetto atletico e fisico di questo gesto, perché vi hanno insegnato così. Nessuno però vi ha mai insegnato a gestire l’aspetto emozionale della cosa. Davanti al canestro siete soli. Gli avversari vi parlano, i compagni vi incoraggiano, il pubblico urla e vi distrae. Ma, in sostanza, il tabellone è come uno specchio. Siete soli di fronte a voi stessi, soli di fronte alle vostre emozioni.»


III

«Ora ascoltatemi. L’allenamento fisico e costante è la base. Ma è ancora più importante la preparazione emozionale. Se in partita non sarete concentrati e nella giusta disposizione mentale, tutti i vostri sforzi saranno vani».
«È necessario innanzitutto che sappiate gestire le vostre emozioni sul campo. Dovete lasciare dietro di voi la paura, l’ansia da prestazione, i problemi esterni. Controllate la vostra respirazione ed imponete il giusto ritmo al vostro corpo. Il tiro libero dev’essere un atto gratuito, disinteressato, svincolato da ogni logica o problematica, estraneo ad ogni tipo di anticipazione futura o paura del passato, sciolto dall’influenza del risultato o dell’effetto imminente. Fate in modo che esista solo l’istante del tiro, solo il presente. Il resto dev’essere escluso».
«Dovete svuotare la mente ed eseguire il movimento in automatico. Spegnete la vocina che parla nella vostra testa. Solo così la mente sarà vuota, limpida come acqua. Per riuscire a liberare la vostra mente dovete focalizzarvi su un’immagine, oppure cercate il vostro mantra: una parola che, ripetuta più volte, vi porti ad un’assoluta concentrazione. Potete ripetere la parola ‘canestro’ o ‘punto’, oppure anticipare il suono della palla che passa nella retina».

«Fino a qualche anno fa, per concentrarmi, ripassavo il noto haiku del maestro giapponese Matsuo Bashō.

Antico stagno
Una rana si tuffa -
Rumore d’acqua.

Quella che a prima vista potrebbe sembrarvi un’immagine banale, racchiude dentro sé una profonda immagine d’armonia dell’universo. Provate a visualizzare lo stagno, antico, immobile, perfettamente silenzioso. Immaginate la rana che si tuffa. Sentite l’impercettibile suono dell’acqua e poi, ancora, il silenzio. Ecco il suono del vostro tiro. Avete mai pensato al suono del vostro tiro? È un istante che partecipa all’universo. Annullate la vostra individualità e fondetevi al puro evento. Uscite da voi stessi. Voi siete l’universo. Voi siete la rana, voi siete lo stagno, voi siete la goccia d’acqua. Voi siete il tiratore, la palla da basket, la retina, il cerchio, il canestro. Voi siete il tiro. Annullate il pensiero. Annullate la folla. Siete nell’antico stagno e non sarete voi a decidere quando la rana vorrà tuffarsi. Godetevi il silenzio. Tutto avverrà da sé. Rendete automatico quel gesto, senza accompagnarlo col pensiero. Il vostro tiro non è importante. Il risultato della partita non è importante. Siete solo un granello di polvere che partecipa all’immensità dello spazio e all’infinità del tempo. Il canestro, la partita, la serie, la nostra intera vita…conta quanto il suono d’acqua della rana che si tuffa.»
Dopo aver parlato, con gli occhi chiusi, immobile sulla linea dei tiri liberi, Yuki mette a segno uno dopo l’altro tutti i palloni che un assistente gli passa tra le mani. Ne butta dentro una cesta intera, senza mai toccare il ferro. Nella palestra regna uno stupefatto silenzio. Risuona solo lo schiaffo della retina, e poi i rimbalzi sempre più brevi del pallone a terra. Poi, ancora: silenzio, retina, rimbalzi del pallone.
«Dovete visualizzare il vostro tiro. Allenatevi a tirare senza pallone. Immaginate la sfera nelle vostre mani. Completate il movimento in armonia con l’aria attorno a voi. Ricreate la dinamica, rendetela automatica. Ripetete l’esercizio molte volte. Tracciate nella vostra mente la perfetta traiettoria del pallone. Fatelo decine di volte. Poi iniziate a tirare veramente.»



leggi di più, leggi tutto:

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sabato 5 settembre 2015


NBA L'Ultimo Canestro: un romanzo ambientato nella Lega di Basket Americana!


Accadono strani fenomeni al campetto da basket comunale. C’è un tizio che non sbaglia un tiro. Un improvviso ed innaturale potere trascina Gio in una vorticosa scalata al successo, dal campetto alla serie A, fino al magico mondo della NBA.
Dall'Italia agli Stati Uniti un avvincente e documentato viaggio nella Lega di basket più amata e seguita al mondo: dal Draft ai playoff, passando per l'All Star Game, alla scoperta dei retroscena e dello stile di vita di un giocatore NBA.
Una storia che racconta la delicata fase del passaggio dall'adolescenza alla maturità, che riflette sul rapporto tra talento e sacrificio, successo e felicità, e s'interroga sul valore della sofferenza, della vera amicizia, dell'amore.

La scheda del libro su Il Mio Libro:

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Disponibile in formato cartaceo ed eBook sui principali store digitali e su LaFeltrinelli.it!